giovedì 4 giugno 2015

Cronaca ritardataria di un corso di scrittura via Skype

Attenzione: questo articolo fa il paio con quello di Paleomichi. Perché tra blogger ci vogliamo tanto bene!

E dopo mesi ritorno a scrivere. Datemi un attimo che elimino tutte le ragnatele e la polvere che si sono despositate da queste parti. E voilà, ora posso ricominciare.

Sì, è tantissimo che non scrivo e fate bene a guardarmi con sguardo truce. Ma ho una scusante, anche più di una, ma per il momento non le sfodero. Per questo ritorno di fiamma bloggesco, voglio deliziarvi con la cronaca in differita di un'esperienza che raccomando a chiunque là fuori abbia voglia di mettersi in gioco.

Parlo del corso di scrittura creativa via Skype tenuta dalla riccissima e talentuosissima Jane Pancrazia Cole. Una vecchia conoscenza per me, un habituè per altri, una sconosciuta per molti. E allora adoratela insieme a me: sensibilizzatevi e sfondatevi di suoi post su RADIO COLE.

Ordunque, cosa si è inventata sta volta 'sta donna che ha più idee che riccioli (il che ce ne vuole)? Un corso di scrittura creativa in quel di Torino. Io, come molti suoi followers accaniti, siamo andati in brodo di giuggole per l'iniziativa e subito dopo ci siamo rattristati per l'occasione perduta. Lei non si è persa d'animo e si è industriata per organizzare una versione Skype del suddetto corso di scrittura creativa. Occhi a cuore per lo smazzamento che la signorina Cole si è procurata.

Martedì sera, festa della Repubblica, ha avuto luogo il primo appuntamento via Skype del corso. Lo ammetto, un po' ero agitato, ma curiossisimo di conoscere i miei compagni di corso. In un nanosecondo sono riuscito a farmi riconoscere: ho mancato la prima chiamata e mi sono giocoforza dovuto negare causa mal di schiena fulminante (immaginate un animale ferito, ritorto su se stesso e conciato come un transiberiano al circolo polare e avrete un'immagine approssimativa del me di martedì sera). Penna, quaderno, pendevo dalle labbra della maestra, professionale e competente dai suoi occhiali da segretaria maliziosa.

Primo compito: scrittura a tempo. Da una frase d'inizio scrivere, scrivere, scrivere senza mai alzare la penna dal folgio. Esercizio fighissimo per la mente, tortura autentica per la mano che gli ultimi minuti mi si era irrigidita in un moncherino rattrapito. "Era per farvi capire che la scrittura è anche fatica, e immaginatevi gli scrittori una volta che fatica a scrivere un romanzo". Sadico, ma vero.

Siamo poi passati agli aggettivi: altro esercizio, altro regalo, al termine del quale abbiamo dovuto costruire un racconto con le parole che ci erano toccate in sorte e a cui avevamo attribuito degli aggettivi tutti insieme appassionatamente. A me sono capitati: semaforo e dinosauro. Altro ostacolo che ho brillantemente aggirato e su cui la maestra mi ha dato una tiratina d'orecchi.

Certo che leggere le proprie cosine di fronte a una miniplatea sparsa per l'Italia,fa effetto, ma devo dire che sono stato particolarmente fortunato. Le mie compagne di banco sono avantissimo. E, senza nemmeno farlo apposto, il destino ha voluto che capitassi in gruppo con Paleomichi. No dico, ma vi rendete conto??? Bellissima coincidenza! Grazie, santa Pancrazia da Via Romualda.

Ultimo esercizio: dato un input visivo ricavarci un raccontino. Io qui sono andato in crisi nera. Per partorire sette righe in croce, buttate lì alla carlona, c'ho impiegato tutti i venti minuti di tempo. In una parola: volemosse bbbbene.

Guardo l'orologio. Sono già passate due ore e mi sono volate via. Tra chiacchere, condivisione dei nostri lavori e scrib scrib scrib non le ho nemmeno viste (le ore). La maestra Cole ci assegna il compito per il prossimo appuntamento Skype tra due settimane. Io già non vedo l'ora.

Se volete fare un corso di scrittura creativa comodamente seduti da casa con una prof. preparatissima e talentuosissima contattate SUBITO l'amica del cuore Jane a questo indirizzo: janecole@live.it
Se non lo fate siete meh, però io vi vorrò bene lo stesso (forse).

venerdì 26 settembre 2014

Ogni blogger è un'isola

Mi pareva di avervelo detto in ogni occasione buona, ma il mio cervello è altamente bastardo.
Prima si mette in ferie prolungate, difatti è dal 9 agosto che non spiccico post, stamattina mi son svegliato con l'imperativo categorico di scrivere 'sto post.
Che, diciamolo, già il titolo è tutto un programma.

No perché sarà l'arrivo dell'autunno, con le prime frescure propriamente dette le celluline grigie si son rimesse in moto, che vi devo dire. Fatto sta che voglio condividere sta riflessione.
Perché i blogger non creano qualcosa di comunitario? Una sorta di circolo dei blogger, associazioni spontanee in cui i blogger si riuniscono allegramente e si scambiano idee, istituiscono comunità produttive e spargitrici di buon umore e ottimismo all'ingrosso. 'Na sorta di Google Camp o Community o come cavolo si chiama. Massì, quella sorta di spazio libero gestito da Google che c'è nelle città più fighe tipo Londra o New York dove sia i privati che i free lance vanno là, si spiaggiano sui tavoloni, ma possono chiedere anche il parere e/o aiuto e/o opinioni degli altri polleggiatori. Un co-working, un brainstorming collettivo e spontaneo. Uffa, quelle robe lì. Ci siamo capiti.

Perché là si e qui no?
Allora, vedo già le bocche semi aperte che tentano un'obiezione. Vi prevengo. Sono cosciente del fatto che esistono eventi, fiere, incontri, seminari, gruppi collaborativi di blogger e chi più ne ha più ne metta. Ma il punto è che finite quelle occasioni lì, ognuno torna a casa sua, ci si scambia qualche mail cortese, ci si invita, ci si linka e morta lì.
Capitemi. Secondo me bisognerebbe andare oltre le cortesie che nel migliore dei casi portano a collaborazioni pressoché fisse o scambi di guest post e nel peggiore ad accettare l'amicizia su Facebook perché ci siamo incontrati al buffet del raduno dei mommy blog.
E parlo in prima persona eh.
Quando ero espatriato facevo parte della comunità dei blogger espatriati, che in sé avrebbe avuto un'enorme potenzialità di diffusione e sensibilizzazione della vita tipo di un italiano all'estero (nella fattispecie nella terra dell'Oktoberfest e della Porta di Brandeburgo). Potenzialità che non viene ancora sfruttata dato che ci si limita a seguirsi l'un l'altro, a linkarsi, a lasciarsi qualche commento di apprezzamento o di disapprezzamento. Quando proprio casca il cielo ci scappa pure un blogger incontro, ma questo rappresenta il limite massimo dell'esperienza.

Pensate invece se la maggior parte dei blogger espatriati si fossero riuniti, ognuno per le sue capacità, per i suoi ritmi di vita, per i suoi aspetti particolari di cui scrive, sotto un'unica associazione, collaborativa e propositiva. Avete idea di che scambio, di che progetti megagalattici avrebbero potuto venir fuori, di quali e quante opportunità prima impensate?

Ecco, perché non farlo anche in Italia? Lo so, lo so, ognuno sta in una città diversa, ognuno ha i suoi ritmi di vita e via di questo genere. Ma sapete che c'è? Chissenefrega.
Io sono sempre più convinto che se uno vuole ce la fa. Io ho voluto partecipare al progetto Humans-Torino (ok, ho avuto anche culo a conoscere una delle due menti ispiratrici della cosa, ma questo è secondario).
A me pare che la maggior parte dei blogger siano individualisti inveterati. Gentili, disponibili, carini e coccolosi, ma gelossissimi dei loro mezzi, dei loro agganci, delle loro risorse. E a condividere non ci pensa nessuno? Uno può far presente all'altro quel contatto che cerca un travel blogger che vada a farsi 5 giorni sulla ferrovia storica Porrettana e un altro può girare il bando per un food blogger che forchetta in mano vada alla scoperta delle delizie nascoste delle Cinque Terre.

Dai, obiettivamente, quanto figata sarebbe da uno a dieci?
Io dico trenta.

Dite che sto sproloquiando?
O dite che parlo senza conoscere? No perché può benissimo essere che queste realtà esistano già e io, non avendo FB, ne sia bellamente all'oscuro. Se è questo il caso siete pregati di illuminarvi con la vostra fiaccola di conoscenza. Grazie.

Ps: l'idea mi è venuta leggendo di questo gruppo, l'Orchestraccia, in cui cantano la maggior parte degli attori romani, dove sti personaggi condividono sia l'amore per la musica che le opportunità lavorative. E allora perché loro sì e noi blogger no?

mercoledì 30 luglio 2014

15X25 - Quaterna

Accidenti gente, qua il tempo stringe. Ancora due mesi e sarò fuori tempo per completare la mia lista delle 15X25.
Però devo dire che sono molto fiero di me perché ormai sono oltre la metà della lista.
Eh sì, perché può anche sembrare che dorma o che aggiorni poco il blog, in realtà è perché sto lavorando per voi (e per me) dietro le quinte. Per cui abbiate pazienza, cari.

Difatti sono qui per stupirvi.
Stavolta non ho barrato un paio di punti della lista, ma bensì QUATTRO.
Siete autorizzati a strabuzzare gli occhi, meravigliarvi della cosa e unirvi a me nei festeggiamenti.
State sfrigolando dalla curiosità, vero? Si vede.
Allora procedo con lo svelamento dei quattro punti in questione.

Sono stati completati i seguenti punti:

15) Tornare per almeno tre giorni a Trieste e vederne tutti i posti più bohémien. 
È stato assolutamente magnifico tornare, la prima settimana di giugno, nella città meno italiana che abbia mai visto. Ho fatto i soliti giri turistici per rinverdire la memoria e per assicurarmi che i miei posti preferiti in città fossero ancora lì dove li avevo visti l'ultima volta. Poi, certo, ho fatto anche cose più o meno turistiche tipo infilarmi nelle librerie, fare il turista beone che fa shopping nei grandi negozi del centro. Ho fatto il passeggiatore silenzioso o il finto lavoratore in pausa pranzo spaparanzato sulla panchina al Giardino Pubblico.
E, dulcis in fundo, ho tenuto fede al punto nr. 15: mi sono aggirato per le sale del Museo Revoltella, per i stretti vicoli di Cavana per me ancora inesplorati, ho fotografato il portone monumentale più famoso di Via Tigor, il nr. 12, e, udite udite, sono andato a prendere il thé al Caffè San Marco.
Ok, lo ammetto. C'ho messo dieci minuti buoni per decidermi ad entrare. Uno perché mi aveva assalito la vergogna di infilarmi in un caffè con delle memorie letterarie così prestigiose (Svevo, Joyce, Saba, Magris. Voghera, Tamaro ecc ecc), due perché davo per scontato che fosse stracolmo e sedermi tutto solo, impalato, a un tavolino mi faceva un po' specie.
Invece il caffè era praticamente deserto. L'atmosfera bohémien intatta, i decori art nouveau stupendi, il tavolino ultraschic in ghisa con i piedi leonini e i divanetti di una comodità unica. Una rilassatezza che non vi dico. I camerieri gentilissimi e solleciti, il thé strepitoso. Penso di essermici fermato un paio d'ore buone, tanto era rilassante l'atmosfera, il silenzio e la pace. Mi sono alzato di controvoglia per tornare in albergo.
Altri posti bohémien visti/percorsi sono stati il meraviglioso Viale XX Settembre, tutto ombreggiato da alti alberi e cosparso una porta sì e una uno di tavolini, via Cesare Battisti e i Volti di Chiozza assai frequentati dal caro Svevo.
I miei informatori autoctoni mi dicono che ho visto meno della metà del bohémien che Trieste può offrire. Ottimo! Ecco una buona scusa per tornare quanto prima.

12) Leggere ALMENO un classico della letteratura russa.
Io faccio sempre le cose a modo mio, si sa. Perciò niente classiconi dai titoli altisonanti.
Mi sono concesso invece un'opera semi sconosciuta del gigante della letteratura russa: Tolstoj.
Niente Guerra e Pace, ancora non mi sento preparato. Ma La morte di Ivan Ill'ic.
...è stato interessante, bello. Oddio, non il miglior libro degli ultimi cinque anni che abbia letto, però godibile e molto, molto utile per il mio progetto milanese. Mi ha dato spunti interessanti.
Questo per dirvi che il mio approccio con la letteratura russa non è stato travagliato come avrei immaginato. Soft semmai, molto shalloso. Dai, credevo peggio.
Questo mi lascia la porta aperta per altri esperimenti. In caso in futuro mi senta pronto!

8) Leggere da capo a piedi l'Ulisse di James Joyce.
Qui ammetto doverosamente la sconfitta. È stata una epic fail colossale.
L'ho ritirato in biblioteca il mercoledì, il lunedì dopo gliel'ho restituito. Giuro: non ce la potevo fare. Sono arrivato a pagina 30. Lo ribadisco, pagina 30, e già volevo tagliarmi le vene occipitali per il lungo.
Capolavoro della letteratura, caposaldo del subconscio novecentesco, bla bla bla, tutto quello che volete, ma per la mia mente limitata, fissata su cagate balorde era decisamente troppo. Rischiavo che le celluline grigie commettessero harakiri dalla noia. È stata una questione di mera sopravvivenza.
Se potete, abbiate pietà della mia pochezza mentale.

6) Tornare -almeno per una notte- a Monaco per riprendere la gossip session tra espatriati.
Allora, per correttezza vi informo che, cause organizzative, questo punto è stato in parte modificato dalle rispettive esigenze dei contraenti. Ma tranquilli, la sostanza è rimasta intatta e rispettosamente rispettata.
Sicché la gossip session interrotta è stata brillantemente ripristinata con gaudio magno e gola secca in quel di Innsbruck per una bella giornata abbondante. E, manco a farlo apposta, uno dei due unici giorni in cui il sole ci ha braciolato con 30 gradi all'ombra. Che a Innsbruck ci stanno le montagne, vero, no la spiaggia di Cattolica, eppure faceva un caldo da stramazzo ipoglicemico.
Però volete mettere la gioia di rivedersi dal vivo dopo un annetto e passa? Spettacolare.
Son quelle robe che ti rimettono al mondo, che ti fan dimenticare tutte le sfighe passate, presenti e future e ti fan zampettare per le strade, per i corridoi del treno in preda alla febbre da brodo di giuggiole.
E parlare, parlare, parlare, ogni tanto mangiare, bere una sorsata d'acqua e tornare a parlare, parlare, parlare. Dio, che meraviglia.
È che nessuno si degna di venire qui a bordoAdige, altrimenti beneficiereste dello stesso trattamento amorevole e gossipparo. Ehm ehm, gente avvisata, mezzo salvata.

Cosa dirvi di più?
Niente, che mi devo dare una mossa a completare anche gli altri punti che qua, ragassi miei, il tempo corre.
Mazza se corre!

martedì 15 luglio 2014

Meglio il bastone o la carota?

No ora voi spiegatemi che gusto c'è a criticare le persone per il gusto di "farle crescere".
Di smerdare o denigrare il loro operato nella stupida convinzione che bastonandolo, uno si migliora.
In quella maniera lì uno rischia, a furia di usare la frusta, di far avvizzire l'entusiasmo e la voglia, troppo spesso sottovalutata, di mettersi in gioco.

Passavo l'altro giorno vicino a una scuola e due professoresse stavano parlando davanti al cancello. Al che il mio orecchio capta il seguente brandello di conversazione "no, ma io quelli bravi li demolisco sistematicamente perché so che possono fare meglio".
Ma, dico, sei scema?
Se per le mani ti passa una pianta dal seme buono, con tutti i rami al posto giusto e i fiori pronti ad accogliere le api per donare frutti succosi, tu gli dai il diserbante? Sospetto che per quella zappona valga il principio della selezione naturale, secondo cui solo chi sopravvive alle peggio piaghe si fortifica ed è degno di colonizzare il mondo. E tutti quelli che hai stroncato nel processo e che avrebbero potuto dare al mondo come e quanto gli altri?
Fosse stato per l'istinto del momento mi sarei fermato a far polemica perché quella gente lì merita più legnate giù per la schiena di quelle che elargiscono gratuitamente trincerandosi dietro alla scusa del "metodo pedagogico". Bene, allora io ti bastono perché tu capisca il danno che fai alle nuove generazioni che passano sotto la tua cattedra. Anche il mio è un "metodo pedagogico", uno dei più ortodossi, anche!

Se quella rappresenta una scuola di pensiero, io faccio parte di quella opposta. Anzi no, di quella che sta in mezzo. Cioè di quella il cui motto è "un colpo alla botte e un colpo al cerchio".
Per carità, neanche scusare ogni minchiata i nostri pargoli/studenti/sottoposti combinino. In quel modo si insegna loro che qualunque cosa facciano va tutto bene, si sbuffa, si sbraita, ma poi gliela si fa passare liscia. Eh no. Che poi ci vengon su piantine fiappe o infestanti e la colpa è nostra, mica dell'effetto serra.

Io sono dell'idea che le persone vadano supportate, ascoltate, incoraggiate, messe in grado di fare in autonomia, acquisendo una certa autostima. Io sono per la collaborazione, per la solidarietà, per il confronto costruttivo. Il tutto fatto con un certo metodo. Perché anche quelli che ti urlano addosso che la roba tua fa tutta schifo, che è merda 100% DOP ti diranno che l'hanno fatto per il tuo bene, che da parte loro c'erano le migliori intenzioni, che il loro intento era puramente costruttivo. Siamo noi che siamo permalosi. Eccccerttto. Mi sputi in un occhio e ti devo pure ringraziare.
Dicevo. Si può muovere delle critiche anche con un tono di voce accomodante, ma fermo, spiegando le motivazioni, portando esempi, sottolineando i punti di forza che ci sono e andrebbero sviluppati, non puntando il dito su quello che non va. Uno lo demoralizzate facendo così.
Tante volte basta cambiare prospettiva per non far sentire stupido uno.

Facciamo un esempio.
Uno sbaglia 5 robe su 6.
Gli si può dire che ne ha sbagliate cinque su sei. Risultato: si sentirà una merda e non muoverà più una paglia per non ripetere l'errore. (Poi ok, ci sono anche quelli che si fanno un punto d'onore e sputano sangue per non sbagliare più niente. Ve lo concedo).
Oppure gli si può dire che è stato bravo, perché su sei cose, almeno una l'ha fatta giusta e quell'unica cosa buona deve essere il punto di partenza per conquistare anche le altre cinque, dev'essere il primo moto di autostima per sé, dev'essere quella spilletta di merito che ognuno dovrebbe portare sul petto.
Personalmente sono per la seconda opzione. Dire alle persone che qualcosa di giusto l'hanno fatto, le sprona a fare di più e meglio. O mi sbaglio??

Certo, lì bisogna avere l'elasticità mentale del caucciù. Bisogna capire chi si ha di fronte e adattare il proprio metodo-pensiero-linea di azione alla persona. A certi dire che han fatto bene è deleterio: si mettono in pantofole dicendo che fin lì han fatto bene e tanto gli basta. Poi non alzano né culo né coda, però incolpano te perché potevi spronarli di più. Allora lì una bastonata ci sta.
Ma a tutti gli altri, diamogli supporto. Che se alla fine imparano a camminare con le loro gambe e a credere in loro stessi e nelle loro capacità, gli abbiamo insegnato di più del capitolo sette di storia. Gli abbiamo insegnato a stare al mondo con un minimo di quello che si dice.
Chiamaci poco!

venerdì 4 luglio 2014

Verona for dummies

Tra le molte patologie che mi affliggono (ineffabile sense of humor, logorroicità, nonché modestia), ce n'è una che mi colpisce solo d'estate. La fregola della guida turistica.
Mi spiego.
Una delle mie fisse estive è sempre stata quella di accogliere e scarrozzare per la mia città eventuali visitatori-amici-conoscenti-vari ed eventuali in visita qui a bordo Adige.
Venerdì scorso una mia compagna di progetto è venuta a trovarmi. La malcapitata aveva ammesso pubblicamente che lei a Verona non c'era mai stata. Le ho fatto così tante rampogne che lei, saggia ragazza, m'ha detto "vabbè, vengo lì, mi mostri stra meraviglia di città che poi almeno stai zitto!" Brava, vedo che ci siamo capiti.

Portare in giro qualcuno per Verona è un'attività che mi gratifica. Certe persone si gonfiano d'orgoglio mostrando i loro manufatti in ceramica, io indicando le pietre dell'Arena. Insomma, ve la ricordate anche voi la sfida della Dresdnerin in visita, no? E siccome ogni tanto anche a Milano, quando vengo interrogato sulla mia città d'origine, faccio capire molto sottilmente (ma mooooolto sottilmente) che Verona è bella a prescindere, un altro compagno di corso, catanese strapiantato a Milano, mi ha definito la prima volta "gretto provinciale".
-Vero, verissimo- ho risposto io.
La seconda "campanilista da far schifo"
-È tutto vero- ho risposto di nuovo io.

Che, voglio dire, c'è un motivo se sono così abbarbicato a Verona. È bella, che vi devo dire?
Negli ultimi tempi allora m'è saltato il ghiribizzo di farvela vedere con i miei occhi, per tentare di farvi passare sotto pelle le mie emozioni più a fatti/foto che a parole. Unica falla nel piano: sono un pessimo fotografo. Di solito giro con solo il cellulare appresso e ok, che rispetto a prima le foto con lo smartphone son di una certa qualità; ok, che con i filtri di Instagram anche una foto ciofeca un attimo si recupera. Ma l'insoddisfazione estetica, eh, quella è dura a morire.

Poi, un giorno, la risposta alle mie preghiere. Di like in like sono approdato sul profilo di un Instagramer veronese che fa delle foto stupende, stupendissime della città. E con quell'occhio insolito e indagatore che cercavo. Lui non si limita a far le foto fighe dei monumenti, non sta lì a chiedere all'Arena di fare un po' la sfacciata stasera, di mettere l'Ala un po' più sulla destra e arricciare le labbra a canotto. No.
Lui fotografa le vie a mo' di punti di fuga. Piantato in mezzo. Con il nome della via come unico commento alla foto.
Chi sarà mai sto genio dell'urbanistica dilettantesca?!
Ve lo presento. Lui è tenentecoletti (spulciatevi e scorrazzate in libertà per il suo profilo).

Un paio di foto per farvi degli esempi:



Se vi ho fatto venir voglia di venire a Verona, ho ottenuto il mio scopo.
E va da sé che, se doveste decidere di venire, mi dovete avvertire, tassativamente.
Ve la mostro io, come si deve. Ovvio.

All photos above have been taken by tenentecoletti. All photo credits belong to tenentecoletti.

martedì 1 luglio 2014

Luglio col bene che ti voglio...

Ma che mese lungo e incasinato è stato giugno? Troppo.
Tra ondate di caldo, acquazzoni che toglievano dieci gradi come niente, continui su e giù per i treni e visite inaspettate qui a bordoAdige, sto mese non mi ha lasciato neanche un attimo di respiro.
O meglio, sì, ho avuto un paio di domeniche in cui avrei potuto incollarmi al computer e scrivere un nuovo post, almeno uno. Ma ho preferito glissare (riponete pure i coltelli, grazie) sia perché davanti al computer ci passo più ore di quanto vorrei e spegnerlo è una delle piccole rivincite della giornata, sia perché una giornata di dolce far niente è manna sacrosanta e io le ho passate spalmato a stellino sul letto.

Detto questo, ci sono tante belle novità che vorrei narrarvi, ma se lo facessi in un solo post mi brucerei tutto il materiale accumulato e quindi vi lascio un po' friggere nell'attesa del TorquiQuiz "che è successo a Giugno?" (inserite in sottofondo la musichetta di Ok, il prezzo è giusto o qualche altro gioco a premi).

Che alla fine, faccio tanto il misterioso, ma se qualcuno di voi sbircia/sbirciasse Instagram saprebbe più di quanto non divulghi qui sul blog, ma vabbè, una piccola occasione di vanto non la si butta via, nevvero?

Per ciò cosa potrei mai dirvi che non rovini le sorprese in arrivo?
Bha, facciamola semplice. Facciamo un punto della situazione.
Il mio stimolantissimo progetto milanese si è preso una pausa fino a metà settembre.
No, non fate quelle facce da finto compatimento. Mi va benissimo così. Ormai cominciava a essere pesante avere un week end fisso al mese da passare a Milano, passare tutte quelle ore con le stesse persone, dormire via, svegliarsi e due ore dopo essere di nuovo lì a guardare le stesse facce, essere attivi, propositivi. Bello bellissimo, ma una pausa ci voleva.

In giugno mi sono industriato e ho spuntato almeno due, se non tre punti della 15X25. Il che mi porta a condividere una riflessione. Meno male che non sono stato ambizioso e ho scelto solo 15 cose da fare durante l'anno dei 25 anni. Sembra di no, ma il tempo passa e non sempre si ha il tempo, la testa e soprattutto la voglia di star lì a spuntare le voci della lista. Però io sono una persona corretta. Ho preso un impegno e lo porto fino in fondo. E poi è una cosa che ho scelto io di fare, sarebbe stupido non finirla come si deve (anche solo per una soddisfazione personale). Vi pare?

Ho invertito la tendenza cosa-leggo-durante-l'estate. Di solito d'estate sono colpito da tre mesi di siccità, dal biblico periodo di vacche magre. Quest'anno invece, per puro caso e moto di pietismo delle case editrici, ho accumulato più libri da leggere durante luglio e agosto di quanto avrei creduto. Giusto per citarvi una cifra, ho qualcosa come 6 libri in coda da leggere, più 2 per il progetto da "studiare". Lungi da me lamentarmi: vedere quella bella piletta di pagine intonse, di coste colorate coi titoli che mi strizzano l'occhio mi fa salire l'acquolina in bocca. Giusto, sì. questo è uno spazio pubblico, mi do una regolata. Ehm ehm...

Sono immensamente contento che i mondiali siano già finiti, per noi. Onestamente non me ne fregava niente fin dall'inizio, ma i bar pieni di tifosi, i pazzi scatenati che girano per la città urlacchiando e berciando i loro gridi di guerra calcistica erano molesti e indesiderati. Ora che l'Italia è già tornata a casa, problema risolto alla radice. Grazie Prandelli, dal profondo del mio cuore.

...poi non so, devo dirvi altro che non rientri nei prossimi post??
Bho, già non mi ricordo più.
Spero che questo sfizioso antipasto vi basti e vi sazi. Per ora.
Per la prima portata passo a prendere le ordinazioni dopo!